Web 2.0 Demystified

Pubblicato il 9 Aprile 2007
Autore:
L'articolo tratta di Web .

Web 2.0 DemystifiedHo letto con interesse l’ultimo rapporto Nielsen Netratings riguardo alla penetrazione del Web 2.0 nel nostro paese. Dallo studio si evince che, come nella maggioranza dei paesi europei, l’Italia ha visto un incremento considerevole di fruitori di siti che appartengono a questa categoria. Nella fattispecie circa il 56% del totale dei navigatori ha effettuato una o più sessioni presso siti web 2.0.

A prescindere dalle categorizzazioni poste dall’indagine è importante sottolineare che i servizi che hanno ottenuto il maggior incremento di visitatori sono stati Wikipedia, Youtube, Myspace e Blogger. L’uso di questi strumenti, sicuramente più coinvolgenti di altri, ha aumentato i tempi delle sessioni di navigazione: circa 28 ore al mese contro le 19 scarse dell’utente, per così dire, tradizionale. Emerge anche un dato inquietante, il web 2.0 sembrerebbe “cosa da uomini”, giacché il gentil sesso che fa uso di questi servizi risulta, soltanto, una minoranza. Le donne italiane, in sostanza, sembrerebbero interessate solamente a servizi di “vita virtuale” quali, ad esempio, Neopetz e Piczo.

In sintesi il fruitore di web 2.0 è un utente, quasi esclusivamente maschio, più maturo, più esperto di tecnologia ed in grado di investire più tempo che in passato nella navigazione.

Veniamo alla definizione di web 2.0 di Nielsen Netratings: “Il Web 2.0 o My.Internet è l’ambiente in cui si sono sviluppati dei siti e delle applicazioni web, che mettono il controllo del contenuto, sia generato direttamente dall’utente che no, nelle mani del consumatore”.

Ho riletto più volte la citazione e, onestamente, trovo una contraddizione formale. Quel “che no” mi lascia piuttosto perplesso. In pratica è pure web 2.0 un’ applicazione che permette all’utente di controllare dei contenuti non da lui generati. Ma allora mi chiedo che significhi controllare.
Prendiamo, ad esempio, YouTube. Ad un utente generico questo servizio permette di visualizzare un filmato, di inserirlo nella propria playlist e, al massimo, di invitare un amico a riprodurlo. Che altro? Queste stesse operazioni, certo, forse in maniera semplificata, non sono effettuabili anche in siti che non appartengono al novero del web 2.0?

Ma anche nel caso in cui sia lo stesso utente a generare contenuti, siamo certi che questo non poteva avvenire già da tempo? Pensiamo ad esempio ai numerosi siti che permettevano di gestire un hard disk virtuale parecchi anni or sono.

Consideriamo ora Myspace o Blogger. Sembrano proprio evoluzioni di servizi quali Tripod o Geocities (rispettivamente acquistati da Lycos e Yahoo!) che permettevano di fruire gratuitamente di uno spazio web e, attraverso la scelta di template predefiniti, di costruire il proprio sito personale. Sto parlando di applicazioni disponibili anni or sono, molto prima che venisse coniata l’etichetta 2.0 e prendesse piede il fenomeno blog.

Esaminiamo, inoltre, le applicazioni P2P, attive da anni e fruite da milioni di utenti che, per ragioni di comodo, raramente vengono incluse in questi studi.
Emule, ad esempio, ti consente di inserire contenuti (anche autonomamente generati) e di condividerli con la comunità, lo stesso dicasi per Bittorrent e tutte le altre piattaforme di sharing.

Poi avete mai sentito parlare di newsgroup, liste di discussione e quant’altro? Si tratta di servizi che adottano un meccanismo molto semplice: si invia una e-mail al gruppo a cui si è iscritti e, con lo stessa procedura, si ottengono risposte da altre utenti. Il tutto viene quindi pubblicato su un server visibile a chiunque sia dotato dell’applicazione apposita, normalmente inclusa in qualsiasi client di posta elettronica.
Io, in tutta onestà, non vedo una grossa differenza tra questi strumenti e Yahoo! Answers (altro simulacro del web 2.0). Il server diviene un sito e, anziché inviare domande per e-mail, si usa una web form. Altre differenze? Ok, si possono votare le risposte, ma, insomma, non mi sembra una funzionalità che ponga quest’ultima applicazione ad un livello tanto superiore alla precedente.

Veniamo, infine, ai mondi virtuali. Via, sono dei puri e semplici videogiochi aperti al pubblico della rete! Vengono etichettati come web 2.0, eppure da anni si effettuano partite online a Counterstrike o Pro Evolution Soccer.

Di esempi ne potrei trovare altre decine…

A questo punto mi viene da pensare che, come in tutte le presunte rivoluzioni, è bene guardare al passato e, dalla sua analisi, riconsiderare il presente. Ecco perché sto con Tim Berners-Lee quando dice che il web 2.0 non esiste: la migliorata interazione tra applicazione internet ed utente è pura e semplice evoluzione di ciò che già esisteva. Per cortesia, lasciamo perdere numeri o etichette.

9 commenti all'articolo “Web 2.0 Demystified”

    WordPress › Errore

    Si è verificato un errore critico sul tuo sito web.

    Scopri di più riguardo la risoluzione dei problemi in WordPress.